In un anno in cui a mascherarsi sarà il Carnevale stesso, mimetizzato per cause di forza maggiore da periodo qualunque, Visit Emilia propone di riscoprire la vera essenza della festa, andando alla ricerca delle autentiche tradizioni in grado di evocare tra costumi e sapori un momento tipicamente avvolto da stelle filanti e sommerso dai coriandoli. Il vero corteo diventa allora quello dei dolci e delle maschere radicati nella storia delle province di Parma, Piacenza e Reggio Emilia: un carro coloratissimo e ad alto tasso zuccherino che promette di non far rimpiangere l’esuberante atmosfera dei giorni compresi tra giovedì e martedì grasso.
A Parma, un Insipido tra le chiacchiere
È buffo pensare che nella piccola Parigi, cuore pulsante dei sapori della Food Valley, la maschera tipica sia Al Dsévod, letteralmente “l’insipido”, un damerino con poco carattere che ha fatto la propria comparsa in città nel 1621, epoca durante la quale i nobili erano soliti mandare a studiare in collegio i figli con servo al seguito. La leggenda vuole che sia stato proprio uno di questi servi, spedito per scherzo dal padroncino a una sfilata cittadina, dove avrebbe dovuto fingersi il giovane aristocratico, a inaugurare la tradizione del costume. Accortosi che quel vestito con cappello a forma di anolino gli consentiva di dire e fare ogni cosa, il paggio Salati decise di dare un nome al suo alter ego, che per contrasto si sarebbe dunque chiamato Insipido, ovvero “Discevido” – poi Desevedo e infine Dsèvod – in dialetto parmigiano. I colori giallo-blu del costume risalgono al 1947. Dal 1948 la figura del Dsèvod è la maschera istituzionale di Parma impersonata da un componente della compagnia dialettale della Famija Pramzana.
A proposito di costumi e icone della tradizione, il Castello dei Burattini – “Museo Giordano Ferrari – conserva un vero arsenale di burattini, maschere e caratteri, tra i quali spiccano icone popolari come Sandrón Paviròn dal bosch ed satta da Modna e il Bargnocla, creato da Italo Ferrari nel 1914, considerati emanazioni della parmigianità più autentica e ruspante.
Il vero gusto del Carnevale a Parma lo danno però i dolci: in questo periodo di festa, le strade della città sono invase dal profumo inebriante delle leggendarie chiacchiere e dai tortelli dolci fritti o al forno, ripieni di marmellata o crema.
Per usare un gioco di parole, le chiacchiere le fanno anche a Piacenza. Solo che qui le chiamano Sprell. Gli esperti della storica Pasticceria Falicetto sono tuttavia dei maestri del Turtlitt ad Sant’Antoni, frittelle ripiene di mostarda o crema di cioccolato, amaretto e castagne, che nel 2007 hanno ottenuto il marchio De.C.O. Di origine antica e umile, il dolce tipico nasce nel borgo di Sant’Antonio ed è legato alla celebrazione (17 gennaio) del Santo ma col tempo il suo consumo è esteso all’occasione del Carnevale. Questi sono solo alcuni però dei mille scherzi alla dieta – vedi i Gonfietti (nomen omen) – che la provincia di Piacenza escogita nel periodo del Carnevale e che è possibile degustare tra l’altro presso la storica Pasticceria Falicetto, e acquistare agli Spacci Serafini insieme agli altri due prodotti tipici.
Sul fronte dei costumi tradizionali, il volume “Piacenza popolaresca delle vecchie borgate” ricorda due maschere tipiche ma ormai dimenticate, risalenti al giro di boa tra l’800 e il ‘900, quando il Carnevale era una valvola di sfogo e l’occasione per prendersi in giro reciprocamente. Se Tôllèin Cuccalla, anche in virtù della maggiore antichità, rivendicava il titolo di maschera ufficiale piacentina (a quanto pare, appariva gridando “me sum Cuccalla, me sumTôllèin e sum la mascra di Piasintein”), il vero ospite d’onore delle feste cittadine era Al Vigion, caricatura dei villani che arrivavano da fuori città, imitati con l’esagerato rossore delle guance e una maldestra eleganza da contadino in trasferta, irrisa con cappello avvolto da nastrini, marsina colorata, papillon di fettuccia e stivaloni con ghette.
Il “Castlein” è la maschera simbolo del Carnevale di Castelnovo di Sotto (RE). Con le scarpe grosse da contadino, la berretta calata sulle orecchie e i calzoni ascellari, ha il compito di animare la festa portando un po’ di buonumore con la complicità dei pagliacci e degli Sgruzzi, nome con cui vengono indicati gli animatori sui trampoli. La creazione di grandi carri di cartapesta è una vera forma d’arte a cui i maghi carristi castelnovesi lavorano un anno intero per onorare l’appuntamento carnevalesco secondo l’antica tradizione.
All’interno della Rocca Municipale di Castelnovo di Sotto, il “Museo della Maschera del Carnevale” propone un percorso alla scoperta di caratteri e travestimenti tradizionali della ricorrenza, con materiali che documentano tutte le fasi di creazione di ogni maschera. La raccolta vanta ben 222 pezzi, una preziosa collezione acquistata nel 1997 dall’Amministrazione Comunale e impreziosita dalle donazioni di Eugenio Gabrielli.
Sul piano del dolci, Reggio Emilia non è seconda a nessuno. Carnevale qui significa vetrine di pasticcerie stipate di vassoi carichi di Intrigoni, Castagnole, Frittelle di mele, Ravioli dolci, Frittelle ripiene alla crema e Frittole.