Il prosciutto cotto nel pane, la pinza, i cjarsons e altri piatti unici: la Pasqua ci fa viaggiare con il gusto dalla Carnia a Trieste passando per il Collio
In una regione come il Friuli Venezia Giulia, ricca di tradizioni enogastronomiche che si tramandano di generazione in generazione e contaminate dai tanti popoli passati per questa terra, la Pasqua è un momento sentito e celebrato a tavola con piatti unici che trovano le radici nella storia e nel folklore.
Il giorno di Pasqua dopo la Messa era usanza far benedire i cibi della merenda pasquale che era il primo vero banchetto dopo i quaranta giorni di Quaresima.
L’usanza della merenda pasquale prevede sempre il magri cuet o prosciutto cotto nel pane: una preparazione di origine austroungarica che si è fedelmente mantenuta nella Venezia Giulia. Il prosciutto che tutti conoscono come “di Praga” è in realtà nato a Trieste! È un prosciutto di suino, cotto generalmente con osso, leggermente affumicato, venduto caldo e tagliato a mano al quale si aggiungevano o fiori di finocchio o radice di rafano grattugiata.
Durante il resto dell’anno è nei tipici buffet di Trieste (https://www.turismofvg.it/trieste) che si può assaggiare, a tutte le ore, il Cotto di Trieste o altri prodotti come la porcina (coppa di maiale bollita) accompagnati dalla senape o dal kren.
In questo brunch ante litteram, o nel pranzo pasquale che segue, spesso è presente un piatto di gelatina di maiale decorato con una foglia di alloro. Questa preparazione non trova riscontri in altre regioni d’Italia ed è caratteristica del Carso, del Collio, di Gorizia, di alcune parti del Friuli e di Trieste. Le vecchie ricette carsoline prevedono l’impiego soprattutto di piedini ed orecchie di maiale, ginocchia di vitello e stinchi, mentre in tempi recenti si sono aggiunti altri tagli di maiale. A cottura ultimata, le carni vengono guarnite da una foglia di alloro, grani di pepe e fettine di uova sode.
Non solo tradizioni gastronomiche, la Pasqua in Friuli Venezia Giulia è sempre stata un momento di gioco: a Cividale del Friuli (https://www.turismofvg.it/localita/cividale-del-friuli), ad esempio, il “Truc” è un antico rituale pasquale praticato, secondo un manoscritto conservato nel Museo di Cividale, almeno dal XVIII secolo ma probabilmente molto più antico. Consiste nell’approntare un catino di sabbia digradante dalla caratteristica struttura ovale, in cui si fanno scendere, seguendo la codificazione di precise regole, le uova colorate con l’intento di farle toccare tra loro.
Ora associati per lo più alla Carnia, un tempo i cjarsons si preparavano in tutto il Friuli Venezia Giulia ed erano considerati il piatto delle feste di Pasqua a partire dal 1377 quando il cameraro di Gemona annotava nei suoi registri “Spendey per fa lavar li santi a Pasca di chalcons”.
Erano caratteristici di Pasqua e infatti questa festività era detta Pasca di cjalçons. Nonostante si tratti di un piatto molto diffuso, non è mai stato possibile arrivare ad ottenere un’unica ricetta dei cjarsons: si dice che ogni casa custodisca entro le proprie mura il segreto per preparare quelli che, a proprio dire, sono i migliori cjarsons del Friuli Venezia Giulia. Ha fatto storia il fatto che negli anni Settanta il cuoco carnico Gianni Cosetti volle inserire questi ravioli nel suo menu, ma prima decise di indire un concorso per coinvolgere le casalinghe della zona per cercare la ricetta: si presentarono 40 persone con altrettante versioni diverse.
La Carnia è un vero e proprio scrigno enogastronomico: sette valli che solcano le Alpi carniche, al confine con Austria e Veneto, che custodiscono un universo folcloristico e un’affascinante natura, insieme a un patrimonio di erbe spontanee, frutti, prodotti del bosco e primizie come i formaggi prodotti in malga. Un mondo da esplorare seguendo l’itinerario Da noi in montagna della Strada del Vino e dei Sapori del Friuli Venezia Giulia (https://www.turismofvg.it/da-noi-in-montagna).
La merenda pasquale vede come protagonista il pistun, un piatto che mescola sapori dolci e salati. Il pistun, o a Gorizia fulis o velikonočne fulje, è un dolce pasquale o di nozze visto che si serviva a casa dello sposo prima della cerimonia: consiste in polpettine allungate a base di pane raffermo cotte nell’acqua dove si è cucinato il prosciutto della festa. Contengono anche uva passa, pinoli, zucchero, uova, erbe fresche, erba cipollina, aglietto selvatico, cannella e noce moscata.
Nelle feste di Pasqua non può mancare la pinza, un pandolce e soffice che è certamente il più diffuso dei dolci pasquali del Friuli Venezia Giulia, tanto che “Bona Pasqua, bone pinze” è l’augurio che ci si scambia a Trieste e Gorizia durante i giorni di festa legati alla Pasqua.
L’impasto a mano delle pinze richiedeva notevole sforzo fisico e i vecchi ricettari consigliavano di lavorare l’ultimo impasto anche per due ore. Si procedeva poi alla pezzatura in pagnotte rotonde che venivano appoggiate in fila su assi di legno coperta da una tovaglia. La cottura della pinza era molto difficile nelle cucine economiche a legna di un tempo e molti si rivolgevano al pec, il fornaio di fiducia: il venerdì santo, infatti, si vedevano donne che portavano delle assi di legno con le pinze coperte da un tovagliolo e a parte un uovo per farle cucinare da un professionista. Le più diffidenti mettevano una monetina o facevano dei segni particolari per essere certe che non venissero reimpastate con quelle di altre famiglie: si sarebbe persa la peculiarità della ricetta di famiglia! Il pec staccava dei numeri di carta: uno veniva messo sulle pinze e l’altro veniva dato a chi le aveva portate, in modo che poi si potesse ritirarle senza scambiare pinze di diversa provenienza. Il pec doveva solo usare l’uovo per pennellare le pinze e praticare poi il taglio tipico a Y al basso verso l’alto.
Con la pasta delle pinze si confezionano anche i frati, o titole o tičica o menihi che consistono in trecce di pasta lievitata che racchiudono un uovo sodo, spesso colorato di rosso. La forma dovrebbe richiamare quella dei chiodi usati nella crocifissione e le uova tinte di rosso ricordano i sassi del Calvario, macchiati dal sangue rosso vivo che cola dalla Croce.
I due vini dolci più famosi e apprezzati in Friuli Venezia Giulia sono i vini DOCG Ramandolo e Picolìt, che negli ultimi decenni hanno compiuto grandi progressi, divenendo prodotti di straordinaria finezza, capaci di figurare a pieni voti in ogni contesto.
Tra i due, il Ramandolo può essere prodotto soltanto in una sottozona tra i territori comunali di Nimis e Tarcento in provincia di Udine, vicino al paese Ramandolo da cui prende il nome. Il Picolìt, invece, è ottenuto dalle uve vendemmiate in tutto il comprensorio collinare, vantando l’indiscussa qualità tutelata dalla DOCG.Entrambi i vini rappresentano un ottimo abbinamento con i dolci tipici pasquali.
Sono diverse le cantine dell’itinerario Da noi sui Colli (https://www.turismofvg.it/da-noi-sui-colli) della Strada del Vino e dei Sapori che producono Ramandolo e Picolìt: visitarle significa regalarsi un’esperienza slow tra le dolci colline dei Colli Orientali.