Un disegno a inchiostro, un commosso tributo a Dante realizzato nel 1863: ha finalmente un nome l’artista che lasciò questa insolito omaggio su uno degli albi che per oltre un secolo hanno raccolto le firme dei visitatori nella tomba del poeta. È il pittore, incisore e fotografo Federico Faruffini(Sesto San Giovanni 1833 – Perugia 1869), vicino alla Scapigliatura, allievo di Giacomo Trecourt e amico di Tranquillo Cremona.
La biografia dell’artista lombardo, morto suicida nel 1869, racconta la storia di un genio tormentato e instabile, che ottenne successi a Parigi e Roma ma che non riuscì a venire a patti con i suoi demoni. Nel suo breve itinerario esistenziale raccolse meno di quanto il suo straordinario talento non meritasse ma fu all’insegna della continua sperimentazione e dell’insoddisfazione che si svolse la sua ricerca artistica: passò dalla pittura storica, che tentava di liberarsi dai canoni imposti dall’ormai ingombrante figura di Francesco Hayez, all’incisione e alla fotografia, sempre con originalità e dedizione. Fu apprezzato da molti contemporanei ma anche osteggiato da parte della critica ufficiale. Sono noti anche i suoi sentimenti patriottici, di stampo mazziniano, e la vicinanza alla famiglia Cairoli: suoi amici furono in particolare Ernesto (1833-1859), caduto nella battaglia di Varese e da lui ritratto in un celebre dipinto del 1862 (Pavia, Musei Civici del Castello Visconteo), e Benedetto (1825-1889), garibaldino, cospiratore e poi presidente del Consiglio, cui l’artista inviò l’ultima, drammatica lettera della sua vita, dopo la quale si uccise ingerendo cianuro. Era il 1869 e l’artista aveva solo 36 anni.
Ravenna, con questa nuova e autorevole aggiunta al ricco pantheon dei visitatori illustri della tomba di Dante, si conferma ancora di più come la capitale del “culto” dantesco tra Otto e Novecento e uno tra i luoghi più significativi per la costruzione dell’identità italiana negli ultimi due secoli. La testimonianza della visita di Federico Faruffini, svoltasi il 27 ottobre del 1863, si aggiunge alla narrazione di quelle effettuate da numerosissime personalità illustri, quali, tra gli altri, Vittorio Alfieri, Lord Byron, papa Pio IX e re Vittorio Emanuele II e costituisce l’ennesimo antecedente illustre del pellegrinaggio alla tomba che con le Feste Dantesche del 1908 si consolida e organizza definitivamente in un rituale che prosegue fino ai giorni nostri.
Faruffini, «sommo pittore» e «immortale», «era un raggio di luce elettrica in una sala illuminata dall’olio» (Carlo Dossi, Note azzurre). Sue opere sono nelle collezioni della Galleria Nazionale d’Arte moderna di Roma, della Pinacoteca di Brera e della GAM di Milano, e ai Musei Civici di Pavia. Recentemente la sua regione d’origine gli ha dedicato un’importante mostra presso la Villa Borromeo d’Adda ad Arcore (MB): “Io guardo ancora il cielo. Federico Faruffini “, visitabile fino al 27 giugno.
Il riconoscimento si deve a Benedetto Gugliotta, responsabile dell’Ufficio Tutela e valorizzazione dell’Istituzione Biblioteca Classense e curatore della mostra Inclusa est flamma. Ravenna 1921: il Secentenario della morte di Dante, all’interno della quale il disegno è attualmente esposto fino al 17 luglio prossimo.
Il percorso di Inclusa est flamma, che è una riflessione sull’ultimo centenario della morte di Dante (1921), è segnato dalla presenza di diversi albi di firme, usati un tempo nella tomba del poeta per raccogliere pensieri, omaggi o anche semplici firme di visitatori e visitatrici illustri o del tutto sconosciuti. In apertura il curatore ha collocato questo straordinario omaggio simbolico, un’opera d’arte giunta fin qui anonima e che poteva ben rappresentare l’affetto e l’attaccamento che gli italiani hanno provato per Dante nei secoli e per le più disparate ragioni. «In questo caso», afferma il dott. Gugliotta, «era evidente un’allusione alle lotte risorgimentali, in considerazione della data, quella sì, annotata in calce al disegno, e del verso riportato sul basamento del monumento ideale al poeta: “Libertà vo [sic] cercando…” (Purgatorio, canto I, v. 71), che è quasi un mantra del Risorgimento italiano che aspirava, con le sue diverse anime, alla liberazione della Patria e alla sua unità. Il disegno è stato notato già in passato e nel 1882 gli erano state dedicate parole non benevole dallo scrittore e critico letterario Adolfo Borgognoni, zio di Corrado Ricci, che con poca acutezza e senza ovviamente averne riconosciuto l’autore, lo definì “peggio che mediocre”». Nonostante gli ostacoli frapposti dalla pandemia, che ha comportato anche per la biblioteca un’intensificarsi degli sforzi tesi a non interrompere, anzi ad implementare e riprogettare i servizi per l’utenza, si è giunti dunque a questa straordinaria scoperta.
«Innumerevoli sono i nomi di persone illustri o comuni che, in settecento anni, sono venute a Ravenna per omaggiare la tomba di Dante, ricevendo ispirazione o trovando forza per sostenere i valori in cui credevano, da Boccaccio fino ai patrioti del Risorgimento», afferma Michele De Pascale, sindaco di Ravenna. «E le celebri tre parole “Libertà va cercando”, pronunciate da Virgilio davanti a Catone Uticense, furono un grido di battaglia anche durante la Resistenza e la lotta di Liberazione dal nazifascismo. La risoperta del disegno di Federico Faruffini, grande ma sfortunato artista, testimonia ancora una volta quanto siano profonde le connessioni tra Dante e Ravenna e quanto Ravenna abbia significato nella storia del Paese».
«Ravenna, la città in cui Dante visse serenamente i suoi ultimi anni e in cui completò la Commedia, riscopre in questo Settecentenario il suo ruolo di autentica vestale del “culto” dantesco, che ha significativamente ispirato artisti e artiste, letterati e personalità di altissimo livello nazionali e internazionali», afferma Elsa Signorino, assessora alla Cultura del Comune di Ravenna. «Tale ruolo, così intenso e duraturo, non potrà che proseguire ben oltre le presenti celebrazioni e intensificarsi ulteriormente, considerando quanto Dante sia capace di parlare a uomini e donne superando ogni barriera di tempo e spazio».
Negli albi di firma, una dozzina di manoscritti che vanno dalla prima metà dell’Ottocento agli anni Settanta del Novecento, si riscontrano centinaia di firme illustri e molte migliaia di firme che, nel complesso, formano una fonte storica di primissimo ordine. Pio IX, Vittorio Emanuele II e tanti altri sovrani, d’Annunzio, Eleonora Duse, Nazario Sauro, e poi ancora De Gasperi, Einaudi, Tommaso Landolfi, giù fino a Gino Bartali e Benigno Zaccagnini. Ma c’è anche Benedetto Cairoli: il presidente del Consiglio che, come ricordato, fu molto amico di Federico Faruffini e che qualche anno dopo omaggiò personalmente la tomba di Dante.