Dal 7 aprile al 30 luglio 2023, la Galleria d’Arte Moderna di Palermo riprende il percorso sulle grandi esposizioni fotografiche con Richard Avedon (1923-2004), uno dei maestri della fotografia del Novecento.
Dopo le mostre di Steve McCurry, Henri Cartier-Bresson e Ferdinando Scianna arriva nelle sale del Museo di Piazza Sant’Anna Richard Avedon. Relationships che ripercorre gli oltre sessant’anni di carriera del fotografo e ritrattista statunitense attraverso 106 immagini, provenienti dalla collezione del Center for Creative Photography (CCP) di Tucson (USA) e dalla Richard Avedon Foundation (USA).
L’esposizione, con il patrocinio della Regione Siciliana – Assessorato regionale del turismo, dello sport e dello spettacolo, è promossa dal Comune di Palermo, prodotta e organizzata da Skira Editore e da Civita in collaborazione con il Center for Creative Photography (Università dell’Arizona), la Richard Avedon Foundation, con il supporto di The Museum Box, e curata da Rebecca Senf, responsabile della collezione del Center for Creative Photography e vede come main partner Ferrovie dello Stato Italiane e media partner Vogue Italia.
“L’esposizione fotografica di Richard Avedon – afferma il Sindaco Roberto Lagalla – rappresenta un viaggio che ripercorre buona parte del secolo scorso e che dà prestigio alla Galleria d’Arte Moderna di Palermo. La Gam sta vivendo un momento di rilancio e l’esposizione di uno dei simboli della fotografia mondiale del Novecento contribuirà certamente a perseguire questo obiettivo e a portare tanti appassionati e turisti alla Gam“.
La rassegna consentirà di approfondire le caratteristiche innovative dell’arte di Avedon che ne hanno fatto uno degli autori più influenti del XX secolo. Se da un lato, ha rivoluzionato il modo di fotografare le modelle, trasformandole da soggetti statici ad attrici protagoniste del set, mostrando anche il loro lato umano, dall’altro, i suoi sorprendenti ritratti di celebrità, in bianco e nero e spesso di grande formato, sono capaci di rivelare il lato psicologico più interiore della persona ritratta.
Per l’assessore alla Cultura Giampiero Cannella “La Galleria d’Arte Moderna si conferma polo d’eccellenza tra le istituzioni culturali palermitane. La mostra di Avedon segna una tappa fondamentale nel percorso di valorizzazione del museo di Sant’Anna, non soltanto come spazio espositivo della sua collezione permanente, ma come luogo capace di ospitare le migliori espressioni artistiche e i più ricercati linguaggi narrativi contemporanei”.
Forte la determinazione del Gruppo FS nel portare questa mostra da Milano a Palermo, come scrive nella prefazione del catalogo lo stesso AD di FS Italiane, Luigi Ferraris: “Tra le missioni del Gruppo FS c’è quella di garantire il libero movimento delle persone, che significa allo stesso tempo agire in una prospettiva di mecenatismo, incoraggiando la circolazione di talenti, pensieri e iniziative artistiche e culturali. Da qui l’idea di portare con orgoglio la mostra di Richard Avedon a Palermo, dopo il grande successo al Palazzo Reale di Milano, per accorciare le distanze tra il Nord e il Sud e omaggiare uno dei geni indiscussi della fotografia mondiale del Novecento”.
“È stata l’abilità di Avedon nel saper rischiare, cambiando le regole del gioco della fotografia di moda, che ha strutturato in profondità la relazione con Vogue. La mostra Richard Avedon: Relationships appare come il luogo ideale per indagare le sue relazioni umane e professionali e quindi anche l’occasione per mettere in luce quella, importantissima, con Vogue” commenta Francesca Ragazzi, Head of Editorial Content Vogue Italia.
Il percorso espositivo, suddiviso in dieci sezioni – The Artist, The Premise of the show, Early Fashion, Actors and Directors, Visual Artists, Performing Artists / Musicians and writers / Poets, Avedon’s People, Politics, Late Fashion, Versace – è costruito attorno alle due cifre più caratteristiche della sua ricerca: le fotografie di moda e i ritratti.
Quelle di moda si possono raggruppare in due periodi principali. Le immagini giovanili, realizzate prima del 1960, sono scattate “on location” e mettono in scena modelle che impersonano un ruolo per evocare una narrazione. Le opere successive, invece, si concentrano esclusivamente sulla modella e sui capi che indossa. In queste foto più tarde, Avedon utilizza spesso uno sfondo minimalista e uniforme, e ritrae il più delle volte il soggetto in pose dinamiche, utilizzando le forme fluide del corpo per rivelare la costruzione, il tessuto e il movimento dell’abito. Le prime fotografie di moda scattate da Avedon (quelle anteriori al 1960) sono molto più che semplici rappresentazioni di abiti.
Create per le pagine di riviste femminili come “Harper’s Bazaar” e “Vogue”, testata con cui lavorò fino al 1988, trasportano l’osservatore in un mondo di glamour e divertimento in cui le donne si muovono con disinvoltura in una vita di svaghi. Queste immagini “cinematografiche” incoraggiano chi le guarda a creare una narrazione e a costruire una trama immaginaria .
Alcune delle scene presentano uno sfondo minimalista e pochi dettagli ambientali, mentre altre includono location e diversi “attori”. In entrambi i casi, Avedon fa sentire chi le guarda, testimone di una storia fatta di agi e piaceri più articolata, che il pubblico potrebbe anche vivere in prima persona se solo possedesse l’abito giusto. In queste fotografie “filmiche”, Avedon utilizza figure aggiuntive in chiave strategica. Come in Carmen, Omaggio a Munkácsi, Cappotto Cardin, Place François-Premier, Parigi, 1957, dove il fotografo si concentra sulla modella che, sospesa a mezz’aria nel salto, è posta al centro dell’inquadratura.
Alla semplicità della foto di Carmen fa da contraltare l’immagine di Suzy Parker con Robin Tattersall e Gardner McKay, Abito da sera Lanvin-Castillo, Café des Beaux-Arts, Parigi, 1956, in cui la modella è piegata su un flipper nella sala a specchi del Cafe des BeauxArts di Parigi, la gonna a balze resa splendente dalla retroilluminazione. Accanto a lei, due uomini in smoking, anch’essi appoggiati al flipper, aspettano che finisca di giocare. Avedon utilizza “attori” aggiuntivi nella scena per arricchire l’atmosfera glamour, far apparire la donna ancor più desiderabile e aggiungere complessità alla narrazione. Molte sono le top model con cui Avedon lavorò intensamente, da Dovima a China Machado, da Suzy Parker a Jean Shrimpton, da Penelope Tree a Twiggy, a Veruschka. Dalla straordinaria affinità che aveva con Dovima, ad esempio, scaturirono immagini spettacolari, come l’iconica Dovima con gli elefanti, Abito da sera Dior, Cirque d’Hiver, Parigi 1955.
Una serie di immagini raffiguranti Penelope Tree o Jean Shrimpton rivela come Avedon sapesse sfruttare le particolari qualità del volto o del corpo di una modella, e tre fotografie di Dorian Leigh risalenti al 1949 mostrano come potesse trasformare il soggetto attraverso location e abiti diversi in modo da fargli impersonare ruoli e personaggi distinti. In Dorian Leigh, Cappotto Dior, Avenue Montaigne, Parigi, ad esempio, la modella avvolta in un soprabito con collo di pelliccia e maniche voluminose e seduta sul sedile di una decapottabile con accanto una cappelliera, un mazzo di rose e un cagnolino acciambellato. La frangia morbida, l’espressione gentile e l’aria distratta della donna suggeriscono un’idea di innocenza e disponibilità a dispetto della sua bellezza. Leigh si presenta invece come una figura altera e sdegnosa in Dorian Leigh, Abito da sera Piguet, Appartamento di Helena Rubinstein, Île Saint-Louis, Parigi. Avedon ritrae la modella di profilo davanti a uno specchio, assorta nell’osservazione della propria immagine. Mani sui fianchi, capelli, trucco e gioielli, tutto appare perfettamente studiato e collocato in un contesto che evoca alta classe, raffinatezza ed eleganza. Lo splendido abito scultoreo e la sicurezza che emana fanno di Leigh un’icona di stile. La modella, in Dorian Leigh, Diamanti sintetici Schiaparelli, Pré-Catelan, Parigi, si trasforma nuovamente di fronte all’obiettivo di Avedon in un affollato evento serale. Il fotografo la ritrae con i capelli scuri accuratamente adornati da scintillanti gioielli, la mano sul bavero della giacca del suo accompagnatore che sorride con aria di apprezzamento, la
bocca aperta in un’ampia e sincera risata. Dorian Leigh è espressiva, impegnata nella vita sociale, coinvolta in un’esperienza e profondamente legata all’uomo che le sta accanto. Per quanto riguarda i ritratti, Avedon è noto per il suo particolare stile, sviluppato a partire dal 1969. Fra i tratti salienti del suo approccio è da includere l’uso dello sfondo bianco, che gli consentiva di eliminare i potenziali elementi di distrazione di un dato set fotografico per enfatizzare le qualità della posa, dei gesti e dell’espressione. Ne è un esempio la fotografia del 1981, scelta come immagine guida della mostra, che ritrae Nastassja Kinski, morbidamente distesa sul pavimento e abbracciata da un serpente. Lavorando principalmente con una fotocamera di grande formato, riprendeva i suoi soggetti abbastanza da vicino affinché occupassero un’ampia sezione dell’inquadratura, rafforzando nell’osservatore la consapevolezza dello spazio negativo tra la figura e il margine. L’interazione tra figura e vuoto, tra corpo e spazio, tra forma solida e potere definente del bordo e la chiave della potenza delle sue immagini. Il fascino di queste foto non è legato solo alla composizione, ma anche al senso di intimità che esse evocano. Avedon dà vita a ritratti potentemente descrittivi che avvicinano l’osservatore ai soggetti effigiati. La capacità di vedere i dettagli del volto, anche quelli minimi, pone l’osservatore a una distanza generalmente riservata a coniugi, amanti, genitori o figli. Ad esempio, nella fotografia La scultrice Louise Nevelson, New York, 13 maggio 1975, si può ammirare il taglio cortissimo dell’artista settantacinquenne, il modo in cui i suoi occhi ci scrutano da dietro le ciglia pesantemente ricoperte di mascara, il sottile luccichio del lucidalabbra o le splendide applicazioni sulle maniche del suo soprabito. Avedon ebbe modo di fotografare molti dei suoi soggetti a distanza di anni. È questo il caso del pittore Jasper Johns nel 1965 e nel 1976, della scrittrice Carson McCullers nel 1956 e nel 1958, del politico George Wallace nel 1963 e nel 1976, del poeta Allen Ginsberg nel 1963 e nel 1970.
Ma il caso più eclatante di relazione fotografica prolungata nel tempo è forse quello che riguarda l’amico Truman Capote. Avedon fotografò per la prima volta Capote nel 1949. Poi, nel 1959, i due collaborarono al primo libro di Avedon, Observations, una raccolta di ritratti di personaggi celebri, tra cui la cantante lirica Marian Anderson, il pittore Pablo Picasso e lo scienziato marino ed esploratore Jacques Cousteau. Il volume era corredato da un saggio di Capote e da suoi commenti alle fotografie, mentre la grafica era curata da Aleksej Brodovič, il leggendario art director di “Harper’s Bazaar”. Capote e Avedon lavorarono di nuovo insieme l’anno seguente. Mentre lo scrittore si trovava a Garden City, in Kansas, per la stesura di A sangue freddo, Avedon lo raggiunse in quattro diverse occasioni per fotografare i presunti assassini Perry Smith e Richard “Dick” Hickock, in attesa di giudizio. In Truman Capote, New York, 10 ottobre 1955, lo scrittore aveva solo trentun anni. L’immagine lo mostra svestito, gli occhi chiusi e le braccia dietro la schiena, il mentorasato. La posa scelta dal fotografo sottolinea la vulnerabilità del giovane, messo a nudo di fronte allo sguardo indagatore e compiaciuto dell’osservatore.
L’ultimo ritratto di Capote, ormai cinquantenne, risale al 1974. La flessuosa sensualità della foto precedente è ormai scomparsa. Avedon si focalizza ora sulla testa dello scrittore, che riempie gran parte dell’inquadratura ed è fuori centro.
Il percorso espositivo propone inoltre un’ampia selezione di ritratti di celebrità del mondo dello spettacolo, attori, ballerini, musicisti ma anche di attivisti per i diritti civili, politici e scrittori, tra cui quelli dei Beatles (John Lennon, Paul McCartney, George Harrison, Ringo Starr), ma anche di Bob Dylan, di Michelangelo Antonioni, Allen Ginsberg, Sofia Loren, Marylin Monroe, del Dalai Lama e due di Andy Warhol, dove il padre della Pop art americana decide di mostrare la sua intimità a Richard Avedon esibendo le sue cicatrici da arma da fuoco, dopo essere sopravvissuto a un tentativo di omicidio. Una sezione e dedicata ai ritratti degli esponenti dei movimenti americani per i diritti civili e ai membri del Congresso americano, questi ultimi confluiti nel portfolio The Family, realizzato nel 1976 per la rivista Rolling Stone, che documentava l’élite del potere politico statunitense.
Accompagna la rassegna un catalogo pubblicato da SKIRA editore, con testi di James Martin, Donatella Versace, Rebecca Senf, Maria Luisa Frisa.