Le cupole e gli affreschi delle più straordinarie chiese di Parma, Piacenza e Reggio Emilia.
Le chiese sono da sempre custodi di eccezionali opere d’arte. E spesso è proprio guardando in alto, nell’immensità delle loro cupole che si svelano capolavori meravigliosi, affreschi realizzati da grandi artisti del passato. Questo è il periodo ideale per scoprire tali espressioni del genio umano racchiuse nelle più belle chiese di Parma, Piacenza e Reggio Emilia, avvicinandosi all’anima creativa e spirituale della Regione.
Antonio Allegri, detto il Correggio, lavorò a Parma realizzando tre affreschi indiscussi capolavori della storia dell’arte: la Camera di San Paolo (1519), la cupola di San Giovanni Evangelista (1520-1524) e la cupola della Cattedrale (1524-1530) “…la più bella di tutte, che siensi dipinte prima e dopo…” come sottolineava il Mengs nel Settecento.
La Camera di San Paolo è parte dell’ appartamento della Badessa Giovanna da Piacenza. Il soffitto, con volta ad ombrello, fu affrescato da Correggio con uno stile nuovissimo e originale che presuppone la conoscenza del lavoro di Mantegna a Mantova.
Nella cupola della Basilica di San Giovanni Evangelista di Parma, realizzando un bellissimo affresco che mostra Cristo circondato dagli apostoli. L’anziano Giovanni, protagonista della visione, alla base, è testimonianza dell’abilità dimostrata dal pittore nel gestire le figure in scorcio, qui ben esemplificata nell’architettura di nuvole.
Imponente e tra i simboli più significativi della città Capitale Italiana della Cultura 2020 + 2021 è il Duomo di Parma. Al suo interno, il Correggio raffigura, con un linguaggio nuovo per l’epoca, fatto di prospettive e scorci che segnano il transito tra terra e cielo in un vortice popolato di nuvole e luce, l’Assunzione della Vergine in cielo. Composizione e movimento si fondono in un capolavoro di illusionismo visivo. Correggio organizzò lo spazio dipinto intorno ad una spirale di corpi in volo, mai vista prima, che sembra annullare l’architettura per dare risalto ai personaggi, i quali, in equilibrio, si liberano in aria. Al centro c’è Cristo che discende dalla luce con una posa plastica per il periodo molto innovativa.
Tre vergini sagge e tre vergini stolte è il grande affresco del Parmigianino, databile al 1531-1539 e conservato nella volta del presbiterio della basilica di Santa Maria della Steccataa Parma. L’artista, che aveva lavorato per alcuni anni a Bologna, tornò nella sua città per decorare l’abside maggiore della nuova basilica, costruita nel 1521 per opera di Bernardino Zaccagni e del figlio Giovanni Francesco, con il contributo di Antonio da Sangallo il Giovane nel disegno della cupola. La basilica, la cui pianta centrale a croce greca è ispirata al Bramante, è un bellissimo esempio di chiesa del Rinascimento e si trova nella centrale Via Garibaldi di Parma. Il nome proviene dallo steccato di legno che proteggeva il dipinto della Madonna allattante, ora posto sopra l’altare maggiore, molto venerato dai fedeli nell’oratorio che qui si trovava prima della costruzione della chiesa. La cupola, luminosa, è stata decorata da Bernardino Gatti, che dipinse l’Assunzione di Maria fra una moltitudine di santi e patriarchi, mentre Cristo scende verso di lei. Risalta alla vista il capolavoro di Parmigianino sul grande arcone sopra l’altare maggiore. Sulla destra ha raffigurato le “Vergini sagge” con la lampada accesa e sulla sinistra le “Vergini stolte” con la lampada spenta. Nel catino dell’abside dietro l’altare maggiore, l’affresco dedicato all’Incoronazione della Vergine venne eseguito tra il 1541 e il 1547 da Michelangelo Anselmi su cartoni di Giulio Romano.
Una grande cupola affrescata da Pier Antonio Bernabei con il fratello Alessandro e Giovanni Maria Conti della Camera tra il 1626 e il 1629 sovrasta la Chiesa di Santa Maria del Quartiere, nel cuore dell’Oltretorrente parmigiano. La chiesa, a pianta esagonale e sorretta da archi e pilastri, fu chiamata così perché costruita nei pressi del quartiere di una guarnigione militare. La splendida cupola è per dimensioni una delle più grandi d’Italia e la sua decorazione, il cui gusto richiama il Correggio per la moltitudine di figure e l’accalcarsi delle pastose nuvole, raffigura il Paradiso con la Trinità, la Madonna, gli apostoli, i profeti e i santi.
Lo sguardo resta totalmente affascinato dalla grande cupola ottagonale affrescata dal Guercino (Giovanni Francesco Barbieri, 1591 – 1666) e dal Morazzone (Pier Francesco Mazzucchelli, 1573 – 1626) nella Cattedrale di Piacenza. Qui si delineano le figure dei profeti, sospesi tra le nuvole portando cartigli e con il volto rivolto verso l’alto, verso la divinità. Sono Davide, Isaia, Aggeo, Osea, Zaccaria, Ezechiele, Michea e Geremia, ognuno racchiuso nella propria vela. Inizialmente l’opera fu commissionata nel 1625 al Morazzone, ma l’artista lombardo morì dopo aver terminato le vele di Davide e di Isaia. L’anno successivo il lavoro fu affidato al Guercino, che realizzò tra il 1626 e il 1627 le altre sei vele e affrescò anche le lunette, in cui si possono osservare quattro episodi dell’infanzia di Gesù – l’annuncio ai pastori, l’adorazione dei pastori, la presentazione al tempio e la fuga in Egitto – e quattro rappresentazioni di sibille, in ideale dialogo con i profeti per il compito simile di predire il futuro.
In Piazza Cavalli di Piacenza spicca la Chiesa di San Francesco. Costruita tra il 1278 e il 1363 per volontà del ghibellino Umbertino Landi, è in stile gotico lombardo con facciata in cotto. Presenta in facciata due contrafforti, rosone, cuspide e guglie, nonché un portale mediano quattrocentesco (più tardi i laterali), e sui fianchi poderosi archi rampanti. Sul lato destro si trova il chiostro, di cui è rimasto solo un porticato. La chiesa conserva all’interno sepolture di uomini illustri, dipinti, sculture e resti di affreschi del XIV e XV secolo. Da notare la scultura posta nella lunetta del portale, con le Stigmate di San Francesco (1480 circa). La cupola della cappella dell’Immacolata, con la grandiosa pala, è affrescata da Giovanni Battista Trotti detto “Il Malosso” (1597), per la cui commissione i francescani elaborarono una iconografia originale e curiosa. L’artista qui raffigura l’Assunzione al cielo della Vergine.
Stupiscono anche gli interni della Basilica di Santa Maria in Campagna impreziosita dal complesso ciclo pittorico della cupola realizzato da Antonio Sacchi detto “Il Pordenone”. A lui si deve sulla parete d’ingresso la raffigurazione di Sant’Agostino e le opere della cappella dei Re Magi interamente affrescata dall’artista, come anche la successiva cappella di Santa Caterina. La bellissima cupola, i cui affreschi sono stati realizzati dal Pordenone e da Bernardino Gatti detto il Soiaro in un periodo compreso tra il 1530 ed il 1543, si erge nel mezzo della croce greca e domina tutta la struttura. Nella lanterna è raffigurato Dio padre sostenuto da una gloria di angeli da cui discendono personaggi e storie della cristianità. Appena sotto, infatti, si aprono gli otto spicchi e altrettanti costoloni della cupola popolati di profeti e sibille, putti, personaggi dell’Antico Testamento e simboli vari. Subito dopo si può notare il fregio, dove ci sono gli eroi e gli dei dell’antichità classica, poi gli apostoli, come colonne portanti della struttura ed infine il tamburo che illustra alcune scene della vita di Maria.
Capolavoro di arte barocca, la Chiesa di San Cristoforo di Piacenza stupisce per la sua cupola, affrescata da Ferdinando Galli Bibbiena (1657-1743). L’artista seppe trasferire la prospettiva, patrimonio della speculazione matematica e filosofica, nel campo della prassi della quadratura, disegnando nella cupola finte colonne che la sostengono, dando così una sensazione di spazi più ampi di quello che sono in realtà, una caratteristica peculiare del barocco locale. Considerata una meraviglia del quadraturismo e della pittura illusionistica, la cupola ha una copertura ad ombrello con lanternino superiore con lesene e aperture rettangolari. La decorazione fa emergere un effetto di grandiosità e di artificio scenografico molto particolare, donando una visione celebrativa e teatrale di grande effetto. Oggi l’edificio ospita anche il Piccolo Museo della Poesia, il primo in Europa.
Tra i più artistici santuari mariani d’Italia, monumento di fede eretto a seguito di un prodigioso miracolo, il Tempio della Beata Vergine della Ghiara di Reggio Emilia vanta una maestosa decorazione figlia del lavoro di una élite di artisti emiliani della prima metà del Seicento. Il progetto dell’architetto ferrarese Alessandro Balbo fu poi eseguito dal reggiano Francesco Pacchioni, coadiuvato per la costruzione della cupola da Cosimo Pugliani. Affrescata nel 1614 da Lionello Spada, allievo del Carracci, che si ispirò alle scritture dell’Antico Testamento ed ebbe modo di mostrare grandi qualità prospettiche, soprattutto nella realizzazione degli angeli, il ciclo decorativo degli affreschi che orna le volte, le cupolette, la cupola e l’abside in ricchissime cornici, decorazioni e stucchi dorati, amplifica e commenta come in una sacra rappresentazione l’immagine della Beata Vergine della Ghiara presentata dal motto “Quem genuit adoravit”. È l’esaltazione di Maria, che riassume il mistero dell’alleanza tra Dio e il suo popolo.
È invece opera del Guercino il capolavoro “la Crocifissione di Cristo, con ai piedi la Madonna e i Santi Maria Maddalena, San Giovanni e S. Prospero” che rende la pala dell’Altare della Città il lavoro di maggior impegno dell’artista al suo rientro da Roma.
Per personalizzare la visita è disponibile l’applicazione “Arte e biblica nella Basilica della Ghiara” che dialoga con i codici QR all’interno della basilica, fornendo approfondimenti storici, artistici e teologici dell’opera.
Per ammirare “Il Giudizio Universale” di Camillo Procaccini (1558ca –1629) bisogna varcare la porta della Basilica di San Prospero di Reggio Emilia e rivolgere lo sguardo sul ciclo pittorico del presbiterio e dell’abside. L’artista bolognese raffigura con maestria nella chiesa dedicata al patrono della città (di cui conserva le spoglie) e situata nel cuore del centro storico, il giorno del supremo giudizio di Cristo, collocato nel punto più alto della conca absidale, il quale in modo risoluto, ma carico di umana pietà, invita le anime a salire, circondato da angeli e santi del paradiso. Non mancano gli apostoli Andrea e Pietro e poi disposti secondo precise gerarchie gli evangelisti, i santi protettori della città e altre figure. Poi i risorti, che emergono dalle sepolture rivolti verso il cielo. L’atmosfera cambia nella rappresentazione dei dannati che sprofondano nelle fiamme dell’inferno, tra bagliori accecanti, controluce, vapori, e la grande figura del diavolo. Altre scene caratterizzano l’opera, come la rappresentazione del Cristo morto nel sepolcro e poi nella volta del presbiterio la creazione di Eva e dell’Apocalisse. A completare il ciclo di affreschi del catino absidale, le due storie bibliche: la caduta di Jetzabel e la resurrezione del figlio della vedova a Naim. L’opera segna la fine del Manierismo a Reggio Emilia e l’arrivo delle innovazioni della pittura dei Caracci.
Chiamata la “Piccola Ghiara”, la Chiesa di San Giovannino di Reggio Emilia custodisce opere prestigiose e una splendida cupola realizzata dal Sisto Badalocchio, che si ispirò all’Ascensione dipinta dal Correggio nell’Abbazia di San Giovanni Evangelista a Parma. La struttura attuale risale al XVI secolo, anche se le prime notizie della chiesa risalgono al XII secolo. Nei primi anni del Seicento diversi artisti, che poi hanno arricchito di opere la Basilica della Ghiara di Reggio Emilia, affrescarono la Chiesa di San Giovannino rendendola preziosa. La cupola è dotata di quattro finestroni e di statue in terracotta. Gli affreschi realizzati nel 1613 rappresentano un volteggiare di figure e nuvole che guardano verso l’alto, verso il “Ritorno di Cristo”. La volta della navata centrale presenta, racchiuse in ardite prospettive illusionistiche del bresciano Tommaso Sandrini, affreschi di Lorenzo Franchi, rappresentanti San Giovanni che scrive l’Apocalisse.