La nuova mostra di Palazzo Fava celebra in oltre 70 dipinti l’unicità di uno dei pittori più importanti della macchia, “il primo naturalista che abbia dato una singolare fisionomia alla pittura italiana”: tra ritratti, dipinti a tema risorgimentale e la purezza primigenia dei paesaggi della Maremma, dei suoi animali e dei suoi butteri, il percorso espositivo documenta la modernità della pittura di Giovanni Fattori, la sua capacità di svelare la scintilla di eterno che l’umano custodisce in sé.
“Perché si premia il quadro del sig. Fattori, si grida da ogni parte, se non ha soggetto che interessi? […] Il sig. Fattori non ha realizzato una forma in questo suo quadro, egli ha realizzato un sentimento”: con queste parole Telemaco Signorini, uno dei protagonisti della rivoluzione pittorica macchiaiola, difendeva dalle pagine del Gazzettino il premio assegnato nel 1866 dalla Società d’Incoraggiamento di Firenze alle Macchiaiole di Giovanni Fattori, dipinto della piena maturità.
Parole che, individuando nel sentimento l’elemento fondamentale della pittura fattoriana, coglievano il segno di una pratica artistica capace, nella ritrattistica come nei paesaggi, nei quadri di soggetto campestre così come nelle grandi tele risorgimentali, di rivelare una peculiare maestria nell’esprimere l’umanità più vera e le più profonde emozioni.
Ed è proprio attorno a questo aspetto che ruota la mostra “Fattori. L’umanità tradotta in pittura” in programma dal 16 dicembre 2022 al 1° maggio 2023 a Palazzo Fava, il Palazzo delle Esposizioni di Genus Bononiae. Musei nella Città (via Manzoni, 2, Bologna), realizzata in collaborazione con l’Istituto Matteucci.
Il percorso espositivo a cura di Claudia Fulgheri, Elisabetta Matteucci e Francesca Panconi, studiose e profonde conoscitrici della vasta produzione di Fattori, presenta una straordinaria selezione di oltre 70 opere della produzione del maestro indiscusso della macchia, eccezionale precursore della modernità̀ del XX secolo.
Sono passati oltre 50 anni dall’ultima mostra presentata a Bologna sul grande maestro livornese: nel frattempo, parallelamente al progredire degli studi, l’interesse nei confronti dei Macchiaioli è andato sempre più crescendo, anche per le importanti rassegne che hanno visto al centro il movimento toscano. L’esposizione a Palazzo Fava vuole restituire, attraverso un excursus temporale e tematico nella poderosa produzione dell’autore, il suo sguardo al contempo innamorato e disincantato sull’esistenza, rivelandone l’inconsapevole poesia che, nonostante tutto, essa nasconde. In tale capacità di “liberare” l’essenza del transitorio, fissandola nei diversi generi pittorici coi quali egli si è confrontato, risiede la modernità di Fattori, intesa come capacità di cogliere l’immutabilità del sentimento umano, l’eternità dietro la contingenza.
“La rinnovata attenzione nei confronti dei Macchiaioli è confermata non solo dalla vasta bibliografia ad essi dedicata dal Dopoguerra ad oggi, ma anche dall’interesse mostrato per la loro pittura da istituzioni museali straniere. É quanto emerso nelle fasi di progettazione di una mostra all’interno della quale spiccano autentiche pietre miliari degne delle più prestigiose collocazioni pubbliche. Proprio nell’opportunità di alzare il velo su di esse consiste l’elemento di maggior attrazione della mostra, restituendo un Fattori, se possiamo dirlo, “privato”, meno conosciuto e indagato” dicono le curatrici.
La sequenza delle opere offre al visitatore la possibilità di seguire l’intera evoluzione creativa della pittura di Fattori, accorpando la selezione in nuclei tematici – La macchia: nascita di una nuova arte, Il tema militare come documento di storia e vita contemporanea, L’altra faccia dell’anima, Castiglioncello, “remoto e delizioso sito”, L’intima percezione del proprio tempo, La luce del vero, elemento vivificante e Gli animali, creature amiche, potenti e pacifiche: dalle prime ricerche sulla macchia applicate alla documentazione degli eventi bellici risorgimentali, con capolavori quali Soldati francesi del ’59, in cui le sagome dei soldati sono risolte in pure macchie di colore nel paesaggio, Posta militare al campo e l’inedito In marcia. Tra le opere più preziose si annovera L’appello dopo la battaglia del 1866. L’accampamento, dipinto del 1877 circa proveniente dal Palazzo della Consulta di Roma che si offre per la prima volta alla vista del pubblico.
Nei magistrali ‘ritratti dell’anima’, dipinti tra il 1861 e i primi anni del Novecento, la sensibilità introspettiva si combina con il marcato realismo di stampo toscano. Particolarmente attraente la serie di ritratti di amici e parenti che, come testimoni diretti di brani di vita del pittore, rivelano gli aspetti più intimi e lo strato sociale del suo mondo: tra questi I fidanzati del 1861, che restituiscono le fisionomie dei modelli, la cugina Argia Bongiovanni e Valfredo Carducci, fratello di Giosuè. Non meno suggestivi i ritratti degli anni Ottanta e Novanta, tra cui il solenne buttero, Lo scialle rosso, Lupo di mare e Vecchio marinaio. In questi ultimi si abbandona il lessico sobrio ed elegante delle raffigurazioni d’interno, mentre emerge con forza dalla neutralità del fondo l’essenza della personalità del soggetto.
E ancora gli studi di paesaggio dell’aurea stagione di Castiglioncello, oasi di pace che lo accoglie alla morte dell’amata moglie Settimia Vannucci e gli restituisce slancio creativo, e la narrazione attenta e nostalgica delle trasformazioni del tessuto urbano fiorentino, fra tetti, carrozze e barrocciai, le vedute marine come Mare azzurro, La punta del Romito e La punta del Romito con barche e pescatori.
Risale agli inizi degli anni Ottanta l’incontro con la vitalità primigenia della Maremma, dove il pittore coglie, nella simbiosi tra uomo e animale, la traccia della propria anima insieme schietta e genuina. Uno scenario che dà nuovo slancio alla sua creatività, con capolavori quali La mena in Maremma o il lirico Viale con buoi e spaccapietre, presentato alla critica internazionale nella rassegna International Exhibition di Filadelfia del 1876.
Il catalogo, edito da Skira Editore e a cura di Claudia Fulgheri, Elisabetta Matteucci e Francesca Panconi, è arricchito da un nutrito apparato iconografico che documenta la figura di Fattori in ogni suo aspetto. La prefazione porta la firma di Pupi Avati, che con velata nostalgia rievoca un episodio dell’infanzia, quando la morte del padre costrinse la sua famiglia a privarsi di un quadro di Fattori, ritenuto il pezzo più importante della collezione riunita dai genitori. Il “buco nella parete” lasciato dal quadro, testimone muto del lutto, diventa il pretesto per rivelare il legame tra il regista e l’arte di Fattori, frutto di un’ossessione “di chi assedia all’infinito le stesse immagini cercando di ricavarne il segreto, come faceva Pavese scrivendo delle colline della sua infanzia”. Volti e paesaggi che “sembrano sul punto di rivelarci qualcosa”, antesignano di quell’attesa del disvelamento del vero che sarà tipico della poesia Novecentesca, in particolare di Eugenio Montale, e di quel realismo che “può e deve essere magico non se cerca di abbellire la realtà: ma solo perché ne rivela il volto segreto”.