Dal 25 al 27 aprile 2025 la manifestazione della Città di Cagli (PU), realizzata in collaborazione con Slow Food Italia e Slow Food Marche, che celebra la migliore norcineria artigianale italiana. Una tre giorni di Laboratori del Gusto, incontri, conferenze e un mercato per portare nella cittadina marchigiana i più grandi interpreti dell’artigianato norcino nazionale, i custodi delle razze locali italiane e gli allevatori estensivi e di piccola scala.
Per presentarla, giovedì 28 novembre, la Città di Cagli, Slow Food Italia e Slow Food Marche hanno organizzato l’Anteprima Distinti Salumi Preservare biodiversità per un futuro di qualità, una conferenza con appello al al Ministro dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste, Francesco Lollobrigida e al Commissario Straordinario alla peste suina africana (PSA), Giovanni Filippini per salvare le razze autoctone e gli allevamenti estensivi.
Alla conferenza con degustazione a hanno partecipato norcini e allevatori di razze autoctone italiane., tra questi, una rappresentanza dei Presìdi Slow Food, il progetto che in Italia tutela e promuove 40 salumi tradizionali e 4 razze suine autoctone, coinvolgendo oltre un centinaio di norcini e allevatori. La mattinata è cominciata con due incontri formativi sul tema, organizzati per le studentesse e gli studenti dell’IPSSAR “Michelini Tocci” di Piobbico, in collaborazione con l’Alleanza Slow Food dei cuochi, dal titolo Interpretare il territorio, riconoscere la qualità, e dell’Istituto Tecnico Commerciale “G. Celli” di Cagli dal titolo Cosa fa la differenza.
Anteprima Distinti Salumi – che ha visto la partecipazione di Giacomo Rossi, consigliere della Regione Marche – accende quindi un riflettore su un tema molto sentito dagli allevatori di razze suine locali e dai norcini italiani che, proprio sulla qualità delle carni, basano il loro mestiere. L’evento torna a Cagli, dopo 10 anni dall’ultima edizione, nel 2014, per riportare nella cittadina marchigiana spunti di riflessione sul settore della norcineria e dell’allevamento, sulla tutela delle identità locali legate alle tradizioni alimentari, sulla riqualificazione delle aree montane. Lo fa grazie alla presenza di esperti, ricercatori, istituzioni, allevatori e produttori, in un territorio privilegiato, dove l’allevamento semibrado e al pascolo di suini, ma anche di bovini, ovini ed equini, è una realtà importante.
«Con Anteprima Distinti Salumi si riattiva la collaborazione tra Città di Cagli e Slow Food Italia. Assieme, partendo dalle nostre radici, dai valori più tradizionali della regione, vogliamo riprendere quell’ambizioso cammino di valorizzazione del nostro patrimonio gastronomico. Un patrimonio genuino che rende unici i nostri territori» ha sottolineato Alberto Alessandri, sindaco della Città di Cagli.
«Il patrimonio gastronomico del nostro Paese è fondato sulla sua grande biodiversità: di vegetali e di razze animali allevate, ma anche di saperi, pratiche e competenze, conservati e tramandati per secoli – ha dichiarato Federico Varazi, vicepresidente di Slow Food Italia -. Saperi che nel tempo si sono adattati e contaminati, preservando una norcineria artigianale frutto del lavoro di tanti piccoli allevamenti estensivi e semi estensivi, in zone dove spesso costituiscono le poche attività produttive possibili. Difficile conservare questa ricchezza senza gli ingredienti che ne garantiscono la qualità, ovvero le decine di razze locali – non solo suine – allevate in contesti naturali, dove gli animali crescono secondo il rispetto dei loro bisogni etologici. Questo patrimonio, alla base della fama internazionale dei salumi italiani, è fortemente a rischio a causa della gestione sanitaria indifferenziata della Peste Suina Africana. Per questo, da Cagli, lanciamo un appello per salvare le ultime razze autoctone suine del nostro paese e per tutelare l’allevamento estensivo, ovvero gli elementi che stanno alla base della fama di cui gode la norcineria italiana in tutto il mondo».
«L’allevamento che vogliamo e che promuoviamo pone al centro il rispetto», spiega Jacopo Goracci, direttore di Tenuta di Paganico (Grosseto) e referente tecnico di Slow Food per le filiere animali. «Rispetto per gli allevatori, anche di piccola scala, i quali devono avere margini economici sufficienti a rendere sostenibili le loro attività; rispetto per gli animali, che devono essere gestiti in modo coerente con la loro etologia e messi in condizione di esprimere i comportamenti specifici della razza a cui appartengono; e rispetto per l’ambiente, dove il suolo e il paesaggio tutto devono essere arricchiti dalla presenza degli animali, e non impoveriti come accade oggi con gli allevamenti industriali». Goracci alleva suini di razza Cinta Senese in Maremma e, come tanti allevatori di suini all’aperto, da anni, fa i conti con la minaccia del virus della peste suina e degli abbattimenti indiscriminati, a tappeto, nelle aziende che si trovano nelle vicinanze di un focolaio. Per questo, condivide l’appello rivolto da Slow Food Italia al commissario Filippini e al ministro Lollobrigida, affinché gli allevamenti suinicoli di piccola scala, rurali, dove gli animali vivono allo stato semibrado, possano usufruire di diverso trattamento rispetto a quanto previsto per gli allevamenti industriali. «Bisogna evitare l’abbattimento preventivo di animali sani, altrimenti l’erosione genetica può facilmente portare all’estinzione. È invece importante supportare con finanziamenti e misure di biosicurezza adeguate questi allevamenti, ingiustamente definiti fragili, ma che in realtà sono potenzialmente molto più resilienti delle strutture intensive. Tra queste due tipologie di allevamento i fattori di rischio sono differenti e spesso sono inferiori nei rurali: è il caso, per esempio, del contagio accidentale tramite il fattore umano, visto che si evitano lunghi trasporti di animali vivi e carni».
G.Brigantes è un’azienda agricola di Cagli (Pesaro Urbino), a 650 metri di altitudine, alle spalle del monte Nerone. A gestirla sono due giovani, Gregorio Lombardi e Giada Jacqueline Todisco Grande. «Tutto è nato una quindicina di anni fa, quando – con l’aiuto dei miei genitori – ho iniziato ad allevare dieci maiali» spiega Gregorio. «Allevo perché sognavo di avviare una realtà agricola familiare e di lavorare con gli animali – aggiunge –, ma la scelta di questo mestiere non è stata economica. La definirei più politica: volevo proporre un prodotto alternativo a quello proposto dalla grande distribuzione. Un prodotto di qualità ma non di nicchia, accessibile a tutti ,a patto di scegliere di mangiare la carne una o due volte a settimana, anziché ogni giorno». Oggi il numero di animali varia tra i cento e i duecento capi: «Ci stiamo orientando sul Suino della Marca, un suino che alleviamo allo stato semibrado: i nostri animali hanno dieci ettari di bosco a disposizione. Li alimentiamo in massima parte con scarti di produzione provenienti da aziende che lavorano farro, grani, miglio o leguminose, come ceci, piselli e lenticchie, per il consumo umano, e in parte con favino coltivato appositamente per la zootecnia».
A Robecco sul Naviglio, comune lombardo a metà strada tra Milano e Novara, Luca Garavaglia della società agricola Garall, è il titolare di una azienda agricola vecchio stile: «Una classica fattoria, dove alleviamo gli animali e coltiviamo la terra: un binomio che ci consente di fare il cosiddetto ciclo chiuso tra zootecnia e agricoltura, nel senso che coltiviamo ciò che serve ai nostri animali, le cui deiezioni sono una ricchezza e non un rifiuto, perché concimano il terreno». Tanto ovvio quanto rivoluzionario, visto che il sistema agroalimentare industriale oggi dominante non funziona affatto così. L’azienda, chiamata Garall, si estende su circa 40 ettari e tutto ciò che viene prodotto è certificato in biologico, carne compresa. Oltre alla razza bovina Varzese, Presidio Slow Food, e a galline e polli, Luca alleva una settantina di suini, «un incrocio tra il Nero di Parma e il Gran Suino Padano». Garavaglia alleva «perché la mia famiglia lo fa da quattro generazioni e abbandonare il tutto mi dispiaceva», ma lo fa provando a essere «più compatibile con l’ambiente e cercando di recuperare razze che si stavano perdendo, perché tutelando biodiversità secondo me si tutela la vita». La sua filosofia è chiara: «In nessun caso macelliamo un animale giovane, che sia un vitello, un suinetto o un pulcino – spiega –. Facciamo riprodurre i nostri animali, maiali compresi, a differenza degli allevamenti industriali che macellano e acquistano da fuori i suinetti da ingrasso. Sul nostro banco si trovano al massimo due tipi di carne, perché aspettiamo di essere sicuri di vendere tutto prima di macellare un altro animale. Cerchiamo di fare educazione alimentare, ad esempio contro lo spreco: dei polli non proponiamo petto o ali, ma l’animale intero: guai a buttare via qualcosa».
Margherita Vanni, vicepresidente del Consorzio di Tutela Cinta senese DOP e allevatrice di Cinta senese DOP che riunisce una settantina di allevatori, custodi del sapere, storia, tradizione e della genetica, in una parola, la biodiversità. Seguono un disciplinare attento al benessere animale ma anche a quello dell’ambiente in cui vivono, che consente di produrre trasformati tradizionali di grande qualità. Il consorzio tutela gli allevatori anche in questo momento particolare, in cui la peste suina mette a rischio l’allevamento estensivo e quindi il lavoro di anni e anni. «Penso che gli allevatori che condividono questo modello di allevamento e che custodiscono le razze autoctone dovrebbero unirsi per riuscire a comunicare con più forza: siamo noi l’alternativa al modello intensivo ma questo mondo deve essere sostenuto e difeso» sottolinea Vanni.